Angelo De Fiore

 

Nato a Rota Greca, in provincia di Cosenza, e trasferitosi da bambino a Roma, svolse gli studi presso il Collegio militare del Convitto, dopo aver prestato servizio durante la prima guerra mondiale quale sottotenente nella Brigata Mitraglieri Pappagallo, nella quale combatté in prima linea sul Brenta, a Rovereto e a Trento, fu ferito nel 1917 e si congedò con il grado di maggiore. Laureatosi in giurisprudenza nel 1928 e sposatosi, si trasferì a Roma, dove vinse il concorso quale funzionario di Pubblica sicurezza. Prestò servizio in diverse città, fino ad essere nominato vice-questore a Roma, dove prestò servizio per 27 anni.

Quale dirigente dell'Ufficio stranieri, iniziò ad aiutare gli ebrei di cittadinanza non italiana che, in conseguenza dell'approvazione delle leggi razziali, avrebbero dovuto lasciare il paese entro il 12 marzo 1939. Scoppiata la seconda guerra mondiale, fu richiamato nei granatieri, con il grado di maggiore, continuando contemporaneamente a ricoprire il ruolo di vice-questore dirigente dell'Ufficio stranieri; in questa veste, e proseguendo la collaborazione con la DELASEM (organizzazione della resistenza antinazista) e con l'opera assistenziale di monsignor Hugh O'Flaherty, finse al contempo di aiutare le autorità del Terzo Reich che occupavano all'epoca Roma.

Nella sua veste di dirigente dell'Ufficio stranieri manipolò le pratiche riguardanti ebrei e sospetti di attività antifascista, ostacolando in tal modo l'attività della Gestapo, da cui riceverà ripetuti richiami e venendo fatto oggetto anche di un'indagine che si risolverà senza alcuna conseguenza. Con i timbri ufficiali del suo ufficio provvide alla vidimazione di vari documenti falsi – preparati da Luigi Charrier dell'Ufficio anagrafe – quali tessere annonarie e permessi di soggiorno. Spesso "prelevò" cittadini ebrei dalle prigioni dove erano stati rinchiusi dai nazisti, facendoli passare per pericolosi ricercati per reati comuni o disertori dell'Esercito e in seguito liberandoli.

Dopo l'attentato di via Rasella gli venne richiesto dal suo superiore, il questore Pietro Caruso (fucilato dopo la Liberazione) di fornire dei nominatavi di ebrei sui quali effettuare la rappresaglia (poi concretizzatasi nell'eccidio delle Fosse Ardeatine). La sua risposta fu di «non avere alcun nome di ebreo da offrire», adducendo come causa il fatto che gli archivi dell'Ufficio si trovavano in stato di estremo disordine per sua negligenza. Anche se il suo comportamento era chiaramente ostruzionistico, non ci furono conseguenze ed egli poté continuare la sua opera sin quasi all'arrivo degli Alleati, prima del quale si diede alla macchia, avendo però cura di distruggere anticipatamente, con l'aiuto dei suoi collaboratori, le pratiche di ebrei e militari sospetti ancora presenti negli archivi della Questura trasferiti in segreto negli scantinati. Prima dell’arrivo degli Alleati collaborò attivamente con il gruppo clandestino “Sprovieri” del Centro Clandestino Militare, cui comunicava le liste dei perseguitati politici e degli ufficiali italiani "sgraditi".

Dopo la Liberazione, per la sua attività a favore degli Alleati gli venne rilasciato dal generale Alexander il certificato di “Patriota”. Nel dopoguerra fu questore di Forlì (7 settembre 1953 - 15 aprile 1955), di Pisa (16 aprile 1955 - 31 gennaio 1956) e di La Spezia (12 agosto 1957 - 9 gennaio 1960). Per la sua opera ricevette già nel marzo 1955 la medaglia d'oro e una lettera dall'Unione delle comunità israelitiche in Italia:

 

«La ringraziamo perché col suo fermo atteggiamento riuscì a salvare centinaia di ebrei, interpretando le inique disposizioni razziali con nobile ed umana sensibilità, collaborando con le organizzazioni ebraiche, noncurante delle conseguenze che tale atteggiamento addensava sulla sua posizione e sulla sua stessa vita

 

L'8 luglio 1969 (dossier n. 3022) fu riconosciuto quale Giusto tra le Nazioni.

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